Sul sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è stato pubblicato il Decreto Direttoriale n. 206, con cui si dispone la pubblicazione dei costi di riferimento per l’attività di autotrasporto merci.

Come sono costruiti?

In pratica si tratta di due tabelle in cui, relativamente a quattro classi di veicoli (con massa fino a 3,5 ton; da 3,51 a 12; da 12,1 a 26; oltre 26), vengono individuate quattro voci di costo da associare a una forcella di valori minimi e massimi e distribuite su tre sezioni:

  1. la prima è relativa ai veicoli e include quelli a motore, i rimorchi e semirimorchi e individua i costi di acquisto, manutenzione, revisione, pneumatici, bollo, assicurazione e ammortamento;
  2. la seconda annovera altri costi e tra questi inserisce quello del lavoro, distinguendo i costi relativi alla retribuzione, alle trasferte e agli straordinari, quelli per l’energia, vale a dire per l’acquisto del carburante, qualunque esso sia;
  3. la terza riguarda invece i costi di pedaggio, al netto dei rimborsi previsti dalla normativa.

Nella prima tabella questi valori sono calcolati nel complesso. Nella seconda, i valori vengono spalmati su ogni chilometro che un veicolo copre ipotizzando che alla fine dell’anno ne siano stati percorsi 100 mila.
È ovvio che se i chilometri sono di più o di meno, potrebbero variare anche i costi di riferimento. Così com’è ovvio – seppur esplicitato – che rispetto ai veicoli di massa complessiva fino a 3,5 tonnellate, utilizzati per lo più nel trasporto di ultimo miglio in ambito urbano e con percorrenza inferiore ai 100 Km, la remunerazione del servizio potrebbe essere riferita al tempo che impiega per portarlo a termine.

In ogni caso – e questo è scritto nel decreto – tutte queste indicazioni numeriche, tutti questi livelli di costi non hanno carattere cogente, vale a dire non sono obbligatori. Sono piuttosto un riferimento, un’indicazione chiara inviata al mercato e da utilizzare nel corso delle trattative.

 

Un iter di pubblicazione lungo

Se si trattasse di una semplice pubblicazione di costi di riferimento per l’autotrasporto merci, non si capirebbe perché è stata così lunga e tormentata.
Peraltro, tutte le vicissitudini, le tante sentenze, i vari pareri che hanno condotto alla ripubblicazione dei costi sono ripercorsi nei preamboli del decreto (quelli che iniziano con l’espressione «considerato» o «visto»).
Decisiva, al riguardo, la sentenza della Corte costituzionale (nel marzo 2018) che li aveva sdoganati, a patto che li calcolasse un soggetto terzo. E sulla base di tale indicazione il Ministero dei Trasporti aveva affidato l’elaborazione alla società di consulenza Ernst&Young. Ma anche l’Antitrust, inizialmente restia, aveva poi riabilitato i costi, giudicando corretta la metodologia di calcolo che li ispirava, vale a dire quattro voci di base, con una forcella di valori; quella alla fine adottata.

 

A cosa serviranno?

Se ci si attiene alla loro definizione, le tabelle relative ai costi di riferimento per l’autotrasporto merci dovrebbero servire a orientare le trattative del settore, a tenere l’asticella della contrattazione tra un minimo e un massimo. Non dispongono, però, un obbligo in tal senso. E se non c’è obbligo, non c’è neppure sanzione.

Certo è che un domani un tribunale che si trova con un calcolo dei costi già predisposto a livello pubblico sarebbe fortemente indotto a prenderlo in considerazione.

Perché è chiaro che chi accetta tariffe inferiori a quelle di riferimento per conquistare un cliente sta facendo un’azione commerciale mirata, seppure a tempo limitato. Ma chi, in quanto parte debole di un rapporto, finisce con il subire una tariffa che non ripaga i costi, a quel punto si trova davanti due scenari:

  1. è altamente probabile che quel vettore andrà a comprimere un costo essenziale come, per esempio, quello necessario a sostituire gli pneumatici, sebbene gravemente consumati. E a quel punto metterebbe a repentaglio la propria e l’altrui sicurezza. Al tempo stesso, si verrebbe a mettere proprio in quella condizione sgradita all’articolo 41 della Costituzione, secondo cui un’impresa può nascere e morire liberamente e concorrere con le altre senza vincoli di sorta, ma non può svolgersi «in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana»;
  2. i costi indicativi e il rispetto del principio di responsabilità solidale da parte dei committenti, che non può prescindere dal rispetto di giusti tempi di consegna, sono fattori indispensabili per la tutela della sicurezza stradale. È il riferimento ai «giusti tempi di consegna» ad aprire scenari prospettici: se sono troppo compressi, se non tengono conto dello stato di alcune infrastrutture, se sono calcolati al di fuori della realtà, inducono chi li subisce a travalicare la soglia della legalità, a guidare più del dovuto e/o a manomettere un tachigrafo. E chi lo ha «indotto» a tanto non può che essere solidalmente responsabile.

Si allegano:

Per maggiori informazioni:
Franco Spaggiari
Responsabile CNA FITA Autotrasporto
Tel. 059 418573 | fspaggiari@mo.cna.it