L’escalation degli ultimi giorni del conflitto tra Russia e Ucraina ha innescato ulteriori tensioni sul costo di tutte le materie prime comprese quelle agricole, sia come diretto riflesso del ruolo dell’Ucraina e della Russia nelle forniture globali di grano e mais, sia indirettamente come risposta dei mercati all’instabilità politica e alle incertezze conseguenti agli effetti delle sanzioni. In questo contesto, trovano ampia diffusione fenomeni speculativi.

In questo scenario, l’Italia sconta una dipendenza dalle forniture estere di frumento duro, tenero e mais con un tasso di approvvigionamento rispettivamente pari a circa il 60% per il grano duro, il 35% per il tenero e il 53% per il mais, che espone il nostro paese alle turbolenze dei mercati internazionali. Rimanendo in ambito agricolo ma esulando dai prodotti prettamente agroalimentari è da sottolineare la rilevanza della Russia nella produzione ed esportazione dei fertilizzanti. La Russia, infatti, è il primo esportatore a livello globale di fertilizzanti con 6,1 miliardi di euro nel 2020 (13% del totale export mondiale). L’Italia, tuttavia, è un mercato di destinazione della Russia poco rilevante, posizionandosi in quarantottesima posizione tra gli acquirenti, con poco più di 24 milioni di euro acquistati nel 2020 (il 5% circa degli acquisti nazionali di fertilizzanti nel 2020).

Le esportazioni agroalimentari dell’Ucraina verso la Ue-27 sono state pari a 5,4 miliardi di euro nel 2020, facendo del mercato comunitario – con una quota del 28% – una delle principali destinazioni delle derrate provenienti da Kiev.

L’Italia si posiziona al decimo posto tra gli acquirenti del Paese dell’ex blocco sovietico per un fatturato di 496 milioni di euro pari al 3% dell’export agroalimentare ucraino, in flessione del 19% su base annua. Circa il 50% del valore di prodotti agroalimentari esportato dall’Ucraina in Italia è rappresentato dall’olio grezzo di girasole che, rispetto al totale olio di girasole importato dall’Italia costituisce una quota pari a oltre il 60%;

L’Italia ha infatti importato, nel 2020, circa 405 mln di euro complessivi di olio di girasole di cui 250 mln euro dall’Ucraina. Mentre sul versante dell’import dell’Ucraina, l’Italia è il secondo fornitore di prodotti agroalimentari, dopo la Polonia, con una quota del 7% pari a 415 milioni di euro, sempre nel 2020.

Nel 2020, il nostro Paese ha spedito a Mosca cibi e bevande per un controvalore complessivo di 908 milioni di euro, di cui la fetta più consistente è rappresentata dai vini confezionati e spumanti per quasi 300 milioni di euro e dal caffè (90 milioni).

L’Italia risulta solo al trentatreesimo posto tra i clienti della Russia, Paese da cui importiamo principalmente prodotti destinati all’alimentazione animale come panelli di estrazione dell’olio di girasole, piselli secchi, polpe di barbabietole, oltre a semi di lino e frumento tenero – che rappresenta l’8% del valore di frumento tenero importato dall’Italia nel 2020 pari a 10 milioni di euro – e frumento duro – che rappresenta poco più dell’1% del valore di frumento duro importato dall’Italia nel 2020 pari a 805 milioni di euro.

Aumento della spesa per famiglie e imprese

Le quotazioni di grano tenero sono a livelli mai visti prima d’ora e le prime conseguenze potrebbero ricadere presto su consumatori. Il costo della pasta potrebbe superare il 10%, percentuale che si aggiunge all’aumento del 10% avvenuto a fine dello scorso anno. Le quotazioni del grano sono balzate del 5,7% nella sola giornata del 24 febbraio, subito dopo l’attacco della Russia all’Ucraina, raggiungendo il valore massimo da 9 anni a 9.34 dollari a bushel.

Oltre all’aumento dei prezzi dell’energia elettrica, del gas, del carburante, le imprese del settore si trovano ad affrontare l’aumento del prezzo delle farine (fino +38% per quelle di grano tenero e a +100% per quelle di grano duro ),

Il rischio è di dipendere dall’estero anche per i generi alimentari di prima necessità, con la Cina che avrà nel primo semestre dell’anno accaparrato il 70% della produzione globale di mais, il 60% di riso ed il 50% di grano”

Costo materie prime: gli aumenti subiti

Dall’energia aumentata anche del 300%, ai film plastici, cartone, vetro, imballaggi in genere per circa il 25% in più, migliaia di artigiani e piccole imprese della filiera agroalimentare italiana rischiano la chiusura. Un rincaro “vertiginoso” del grano, che rappresenta, il 60% del costo di produzione della pasta.

Aumento del costo delle materie prime: prezzo del pane

  • un chilo di pane dal fornaio costa in media 3,1 euro.

Così ripartito su scala nazionale:

  • dai 4,2 euro del pane a Milano
  • ai 2,63 euro di Roma e
  • ai 2,95 euro di Palermo.

Incidono ovviamente tanti fattori – poco gli ingredienti come lievito, sale e acqua, molto di più il costo del personale, dell’energia, dell’ammortamento degli impianti e del trasporto.

Aumento del costo delle materie prime: effetti speculativi e GDO

Da ultimo segnaliamo due fenomeni che acuiscono una situazione già di per sé fortemente preoccupante:

  • Le speculazioni su prodotti che scompaiono improvvisamente dal mercato come l’olio di girasole. Il conflitto attuale non può giustificare una mancanza di prodotto immediata, come se non venissero fatte le scorte come per ogni bene commerciale.
  • Per le imprese che lavorano per la Grande Distribuzione Organizzata siamo invece al paradosso, nel senso che non vengono riconosciuti aumenti alle imprese, quindi nessun adeguamento all’aumento dei prezzi del grano, del petrolio, dell’energia per cui le imprese subiscono un doppio danno nel dover affrontare direttamente con le proprie tasche gli aumenti senza alcuna compensazione e riconoscimento, come se gli aumenti fossero inventati o frutto del caso.