Dal 1° gennaio 2015 la legge di stabilità ha esteso il meccanismo del reverse charge (o inversione contabile) e introdotto lo split payment (o scissione del pagamento).

Chi deve applicare il nuovo reverse charge
Il “nuovo” reverse charge è stato esteso ai “servizi di pulizia, di demolizione, di installazione impianti e di completamento, relative ad edifici”, effettuati nei confronti di soggetti passivi IVA (imprese).
Le fatture dovranno essere emesse con la dicitura inversione contabile art. 17 c.6 D.P.R. 633/72 lett. a-ter.
Rimane invariata la legislazione inerente al sub-appalto settore edile (art. 17 c.6 D.P.R. 633/72 lett. a).
Dal 31 marzo 2015 sarà esteso l’obbligo di fatturazione in modalità elettronica delle operazioni effettuate verso la Pubblica Amministrazione. Da tale data tutte le fatture emesse nei confronti della Pubblica amministrazione dovranno essere emesse e conservate in formato elettronico.

Lo split payment
E’ stato poi introdotto lo SPLIT PAYMENT dell’IVA per le fatture emesse dal 1° gennaio 2015 nei confronti:

– dello Stato e degli organi dello Stato;
– degli enti pubblici territoriali e dei consorzi costituiti tra gli stessi;
– delle camere di commercio;
– delle università;
– delle ASL e degli enti ospedalieri;
– degli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico;
– degli enti pubblici di assistenza e beneficienza;
– degli enti di previdenza

Con questo nuovo meccanismo, chi emette la fattura indica l’importo dell’IVA sulla stessa ma non è il debitore di tale somma verso l’Erario.
Il nuovo meccanismo non riguarda le fatture emesse soggette a ritenuta (es: quelle emesse dai professionisti) e le fatture soggette al reverse charge.

La finalità delle disposizioni introdotte
Entrambi gli strumenti, con tecniche normative diverse, hanno l’obiettivo di limitare l’evasione dell’IVA attribuendo il versamento del tributo non a chi effettua la prestazione, come avviene nella generalità dei casi, ma a chi la riceve. Nel caso del “reverse charge” chi riceve la prestazione è obbligatoriamente un’altra impresa che, oltre a versare quel tributo, può portarlo anche in detrazione, annullando completamente l’onere, salvo i casi di pro-rata di detraibilità inferiore al 100% ovvero indetraibilità oggettiva.
Nel caso dello “split payment“ la fattura viene emessa con l’indicazione dell’IVA che, tuttavia, dovrà essere versata dall’ente pubblico che riceve la prestazione.
L’efficacia dei due istituti per la lotta all’evasione, secondo il Governo, è confermata dal fatto che la propensione a evadere un tributo da parte del soggetto che non ha alcuna posizione debitoria (il soggetto che versa e detrae l’IVA in “reverse charge”) è più bassa di quella del soggetto che, invece, si trova a versare un tributo detratto da altri. Con riferimento allo “split payment”, sebbene sia difficile pensare che chi effettua prestazioni nei confronti di enti pubblici possa evitare di emettere la fattura e, quindi, evadere il versamento dell’IVA, tuttavia l’evasione potrebbe essere legata ad operazioni di importo molto elevato nelle quali l’impresa, dopo aver emesso la fattura, “scappa” prima del versamento dell’IVA.

Perché il “reverse charge” e lo “split payment” creano situazioni creditorie IVA croniche alle imprese
Il “reverse charge”, eliminando l’onere del versamento dell’IVA su chi effettua la prestazione e non pregiudicando il diritto di detrazione sull’IVA pagata ai propri fornitori sugli acquisti, determina un situazione di strutturale credito Iva. In altre parole, tutta l’Iva a credito pagata ai fornitori non trova più la corrispondente Iva a debito correlata alle fatture emesse, per il semplice fatto che il debito Iva viene trasferito sul cliente.
La stessa cosa avviene, anche se con presupporti diversi, nel caso dello “split payment”. La norma prevede, infatti, che chi effettua operazioni IVA nei confronti degli enti pubblici, emette regolarmente la fattura con l’indicazione dell’IVA, tuttavia il versamento del tributo deve essere effettuato dall’ente pubblico che riceve la prestazione. Anche lo “split payment” non determina alcuna limitazione alla detraibilità dell’IVA pagata ai fornitori, ragione per cui, anche in questo caso, l’impresa matura una situazione creditoria cronica di IVA con riferimento a tutte le operazioni effettate nei confronti di enti pubblici.
Questa enorme mole di crediti IVA maturati dalle imprese potrebbe essere più o meno devastante sotto il profilo finanziario in relazione alle seguenti circostanze:
1) se l’ammontare del credito IVA maturato supera o meno i 15 mila euro;
2) se il credito maturato può essere compensato nel modello di versamento F24, trovando capienza nei debiti tributari (IRPEF, IRES, ritenute dei dipendenti, ecc.) o contributivi (contributi previdenziali o assistenziali propri o dei propri dipendenti).

Nel primo caso l’impresa, infatti, oltre a dover gestire una doppia o anche tripla emissione e contabilizzazione delle fatture, per utilizzare in compensazione il credito IVA maturato, è tenuta a pagare un professionista per il visto di conformità nella dichiarazione Iva; stesso dicasi se vuole ottenere il rimborso del credito.
A tal proposito occorre sottolineare che la nascita del credito IVA non dipende dalle dinamiche con cui l’impresa svolge l’attività, ma è generato da una volontà precisa del legislatore che, nei fatti, obbliga alcune imprese (i fornitori dei soggetti che svolgono le attività indicate dall’articolo 17 del DPR 633/1972) ad anticipare l’IVA che i propri clienti (quelli che applicano il “reverse charge” o lo “split payment”), non possono recuperare. In altre parole, prima si modificano le norme in modo tale da incrementare sempre più i soggetti che vantano crediti IVA elevati, per poi obbligarli a degli oneri amministrativi anche pesanti per ottenere indietro quanto è loro dovuto.
Nel secondo caso, ossia quando il credito IVA non trova capienza negli altri debiti fiscali nell’ambito della compensazione orizzontale nel modello F24, il problema sulla liquidità delle imprese diventa ancora più grave: l’unica soluzione è di richiedere il rimborso dell’IVA e attendere anche molto tempo per ottenere la restituzione delle somme, oltre al pagamento di un professionista per ottenere il visto di conformità sulla dichiarazione.

La posizione di CNA
L’estensione del regime del “reverse charge” e l’introduzione dello “split payment”, oltre a creare gravi problemi di liquidità stanno generando molta incertezza tra gli operatori dati i vari dubbi interpretativi ancora non risolti. Come se non bastasse, sempre la stessa legge di stabilità ha raddoppiato la percentuale, dal 4 all’8%, della ritenuta che Banche e poste effettuano sui bonifici relativi agli interventi di ristrutturazione o efficentamento energetico sugli edifici che sfruttano le detrazioni fiscali e aumentato dal 4 al 22% l’IVA sul pellet. CNA, insieme alle altre confederazioni aderenti a RETE Imprese Italia, ritiene che questi strumenti aggravino ulteriormente la situazione finanziaria in un comparto già fortemente colpito dalla crisi e comunque strategico per il paese e che ancora una volta per colpire pochi evasori si penalizzano tutte le imprese indiscriminatamente; CNA chiede di accelerare i tempi dei rimborsi per le imprese che applicano il reverse charge e lo split payment eliminando tutti gli ostacoli burocratici che ancora intralciano il pieno utilizzo in compensazione dei crediti IVA.
Alleghiamo le richieste di chiarimento inoltrate all’Agenzia delle entrate e la dura presa di posizione di RETE Imprese Italia sul quotidiano nazionale il Sole 24 ore di venerdì 6 febbraio e i link al comunicato stampa del Presidente CNA Costruzioni Paolo Vincenzi pubblicata sulla stampa locale.
Le Sedi CNA sono a vostra disposizione per chiarimenti e dettagli operativi.