Le speranze di ripresa sono tutte riposte sull’export. Con i consumi interni ancora stagnanti, le aziende più dinamiche sono quelle che riescono a piazzare i loro prodotti oltreconfine.
Una prospettiva resa oggi più semplice dall’indebolimento dell’ euro rispetto alle altre grandi valute internazionali, ma che non riguarda tutti i prodotti, bensì solo quelli maggiormente in grado di esprimere il gusto e l’eccellenza italiani.

Secondo il DEF 2015 per l’ anno in corso è attesa una crescita delle esportazioni del 3,8%. Un progresso non esaltante, ma comunque positivo se si considera che il PIL italiano nel suo complesso non dovrebbe salire oltre lo 0,7%. A stimolare le vendite all’estero non solo le cause valutarie, ma anche ragioni strutturali legate alla crescita della classe media e di quella benestante nei Paesi in via di sviluppo, molti dei quali guardano all’Italia come un modello di buon gusto e qualità.

La forza dell’ export italiano è concentrata soprattutto nei beni che caratterizzano storicamente la produzione italiana, fotografate nella sesta edizione della ricerca «Esportare la Dolce vita», curata da Centro Studi Confindustria e Prometeia. Lo studio prende in considerazione i BBF, acronimo che sta ad indicare i prodotti belli e ben fatti, vale a dire tutti quei beni di consumo di fascia medio-alta che si differenziano per il design, la cura, la qualità dei materiali e delle lavorazioni. Prodotti che abbracciano i settori alimentare, arredamento, abbigliamento e tessile casa, calzature, occhialeria e oreficeria-gioielleria.
Secondo gli analisti, le esportazioni di questo comparto sono destinate a passare dagli 11 miliardi registrati nel 2014 a 16 miliardi nel 2020.
Un progresso del 45% in sei anni (e del 100% se il confronto si fa con i 10 miliardi registrati nel 2010) che sarà possibile grazie soprattutto alla domanda proveniente dai mercati emergenti, dove si sta formando una classe con un buon potere di spesa di dimensioni sempre più rilevanti. Nei prossimi cinque anni, il mondo potrà contare su 224 milioni di nuovi ricchi: la metà di loro risiederà nei principali centri urbani di Cina, India e Indonesia, ma cresceranno anche in paesi più vicini all’Italia, come la Turchia. In queste realtà le produzioni italiane rappresentano per i consumatori uno status symbol, grazie alla forza delle grandi firme, ma anche al fascino esercitato in generale dall’Italia e dal made in Italy, che costituisce un brand.

Un dato curioso che emerge dalla ricerca è relativo ai principali mercati di destinazione dei BBF italiani. La convinzione è che la Russia manterrà il primato (3,5 miliardi di export atteso nel 2020), nonostante la difficile congiuntura che sta caratterizzando da tempo la Federazione. Gli Emirati Arabi saranno il secondo mercato (export per 3,3 miliardi di euro), con la Cina a chiudere il podio (2,2 miliardi). In ogni caso, le opportunità maggiori arriveranno dai Paesi più vicini, tanto che la Polonia assorbirà un import pari a quello di tutta l’ America Latina (oltre 300 milioni).

Va comunque considerato che la penetrazione nei mercati esteri non è certo facile. A maggior ragione per le imprese italiane, buona parte delle quali caratterizzata da ridotte dimensioni che rendono più ardui gli investimenti.

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