Tanto vale rassegnarsi: l’incertezza ormai è la parola d’ordine del sistema economico globale. Lo ha dimostrato anche la crisi cinese di fine agosto, che sarà anche stata prevedibile finché si vuole, ma che è arrivata improvvisa a gelare le aspettative di ripresa. Quale sarà l’impatto sull’economia reale non è facile dirlo, ma di sicuro le conseguenze del crollo della borsa di Shanghai, al quale il governo cinese ha cercato di rimediare svalutando la propria moneta, non saranno positive.

Basti pensare che in tre settimane il crollo azionario ha bruciato 2.600 miliardi di euro (il Pil italiano è di circa 1.500 miliardi, per dire…). È ovvio che a causa di queste perdite la nascente classe media cinese perderà un bel pezzo del proprio potere d’acquisto. Il che significa meno importazioni per loro e meno esportazioni per noi, e non solo in termini di export diretto (pensiamo alla moda), ma anche indiretto (il riferimento è a quelle lavorazioni italiane che, ad esempio, sono incorporate nelle auto tedesche). Senza dimenticare anche gli altri rischi finanziari: come reagiranno le altre monete alla svalutazione cinese? In altre parole, il pericolo è che si innesti una guerra valutaria in grado di generare una rivoluzione dei mercati. Dai risvolti incerti, manco a dirlo.

Ma avremo modo di parlarne, visto che è in corso di organizzazione una serata che verterà appunto su questi argomenti.