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Un territorio che si dimostra sempre più imperniato sul capoluogo, con Carpi che arranca, probabilmente a causa delle difficoltà in cui versa il settore tessile, mentre Sassuolo e soprattutto l’area di Vignola, che aumentano il proprio peso specifico. Preoccupa il progressivo spopolamento, sia in termini di imprese che di popolazione, dell’Appennino. Questa la sintesi del confronto tra le fotografie dell’economia modenese scattate dall’Ufficio Studi di CNA Modena a dieci anni di distanza, nel 2013 e nel 2022 (sulla base di dati pubblicati dalla Camera di Commercio), un territorio che vede Modena baricentro degli affari della provincia. Nel capoluogo, infatti, troviamo la maggior percentuale di imprese (il 26,7%, nel 2013 erano il 25,1%), oltre che la maggior parte degli addetti: più di un modenese su tre lavora in città, con le conseguenze che ne derivano anche in termini di traffico. Si tratta del risultato di un processo di terziarizzazione ormai consolidato, che vede il settore manifatturiero (che peraltro da queste parti è ancora al di sopra della media nazionale) cedere il passo ai servizi, sia quelli alle imprese che alle persone.

Peraltro, se Modena è l’assoluta capitale economica del territorio, non altrettanto può dirsi a livello demografico, soprattutto se rapportata ad altre città simili. Se all’ombra della Ghirlandina abita il 26,1% di chi risiede in provincia, a Reggio Emilia la percentuale di cittadini sale al 31,8%, addirittura al 43% in quel di Parma.

Queste dinamiche trovano spiegazione nell’organizzazione distrettuale della nostra economia. Non è infatti casuale che l’Area che registra la maggior crescita, dopo il capoluogo, siano quella di Vignola e quella di Sassuolo, trainate rispettivamente da agroalimentare e dalla ceramica e dal settore automobilistico, settori tra i più importanti per la nostra economia. Modena, in ogni caso, è l’unica zona dove aumentano sia il numero di imprese che il numero di occupati.

Nel grafico l’andamento percentuale nel periodo 2013-2022 del numero di imprese e occupati nelle nove aree in cui è stata suddivisa la provincia: Modena, le aree che fanno riferimento a Carpi, Sassuolo, Mirandola, Vignola e Castelfranco, poi il Frignano, la Val Dragone ed il versante appenninico di Guiglia, Zocca e Montese.

Modena è l’unica zona dove aumentano sia le imprese che gli occupati (il cui dato è indicativo), che però aumentano sensibilmente nell’Area di Vignola (+12,6%), in quella di Sassuolo e nei comuni dell’Unione del Sorbara.

Una situazione nella quale le diverse aree assumono pesi diversi relativamente alla numerosità delle imprese e occupati: questa la situazione al 2022, che offre anche un’indicazione rispetto alla dimensione media delle aziende, più grandi laddove la curva arancione è al di sopra di quella blu.

Due i fattori di criticità, quella dell’Appennino e quella dell’Area di Carpi. Nel primo caso si conferma un processo di spopolamento che non riguarda solo la popolazione, ma anche le imprese. Da questo punto di vista, diventa vitale, soprattutto per i centri più periferici, sostenere le imprese su cui di fatto appoggiano le comunità locali, aziende come Vaccari e Bosi, Trenton, Sau, Nilfisk, per fare solo qualche nome, oltre che agevolare la nascita di strutture ed aziende nel settore turistico.

Più complicata l’analisi della situazione carpigiana, figlia essenzialmente della crisi del tessile abbigliamento.

Nell’analisi si è poi focalizzata l’attenzione sull’artigianato, il segmento che più sta subendo le conseguenze delle trasformazioni economiche in atto. Basti pensare che, mentre a livello assoluto in un decennio le imprese sono diminuite del 4,6%, quelle artigianali sono arretrate dell’11,3%. Una flessione particolarmente rilevante in Val Dragone (vale a dire nei comuni di Frassinoro, Palagano, Montefiorino, Prignano), nei nove comuni dell’Area Nord e nell’Area del Sorbara (Ravarino, Bomporto, Bastiglia, Nonantola, Castelfranco e San Cesario). Questa tendenza rischia di avere conseguenze gravi sul piano delle professionalità, con la scomparsa di mestieri storici come quello dell’orologiaio, per citare un caso. A tutela dell’artigianato servono interventi finanziari ad hoc, ma anche leggi – come quelle in vigore in Olanda e in Belgio – che favoriscano le riparazioni e il riuso (pensiamo ai calzolai e alle sarte, ad esempio), con positive ricadute anche in termini di sostenibilità.

A livello di settori questi dieci anni sono stati caratterizzati da una dinamica piuttosto vivace, non sempre in senso positivo. L’agricoltura, ad esempio, ha registrato la perdita di 1.390 imprese (-16%), attestandosi a fine 2022 a quota 7.284. Più limitata la contrazione dell’industria, che ha perso 1.874 aziende, l’8.8%, arrivando a 19.499 ditte. Una flessione che ha caratterizzato soprattutto il tessile abbigliamento (-26%), la ceramica (-23,6%, anche se con numeri più esigui: 631 imprese a fine periodo) e le costruzioni (11.617 imprese, -3,6%), mentre a crescere sono state le imprese dell’agroalimentare (1.246 al 31/12/2022, + 8,9% in dieci anni) e la metalmeccanica, di gran lunga la spina dorsale della nostra economia, dove operano 5.731 imprese (+1,5%), una su tre delle aziende industriali modenesi. Sostanzialmente stabili le imprese del terziario, a fine periodo a quota 37.301, dove si evidenziano la crescita del settore dell’autoriparazione (+5,3%), quella di alberghi e ristoranti, a conferma della crescita dell’attrattività turistica del territorio (3.960 imprese, +6,8%) a cui fanno da contraltare il calo del commercio al dettaglio (che sono 6.344, -9,6%) e quelle dei trasporti (-12,4%).

Rispetto alla forma giuridica, nel decennio osservato si registra la grande crescita delle società di capitali (+25,3%), di contro al forte calo delle società di persone (-24%), e delle ditte individuali (-11%), caratteristiche peraltro del mondo dell’artigianato.

Infine, va ricordata la crescente importanza dell’imprenditoria straniera: le aziende costituite da imprenditori non italiani, infatti, hanno raggiunto la ragguardevole quota del 13,5% sul totale, un terzo di queste nel settore dell’edilizia ed una su cinque nel commercio; 15,8% quelle manifatturiere, con una forte rappresentanza nel tessile abbigliamento.