Repubblica.it. Articolo di Vito de Ceglia

Ancora oggi, tra le piccole e micro imprese italiane, una su dieci non ha un computer (12%). Una su cinque non possiede un portatile (23%) e più della metà è priva di un tablet. Mentre è più frequente l’uso di smartphone, solo il 20% delle aziende non lo utilizza. A parole, però, il 95% delle imprese considera Internet uno strumento di lavoro fondamentale. Ma nei fatti sono quasi esclusivamente quelle sopra i 20 dipendenti a disporre di un sito web (il 98%) per promuovere le proprie attività.

Percentuale che si riduce col diminuire della dimensione dell’impresa e si attesta al 61% tra le aziende fino a 9 addetti e all’87% in quelle con 10-20 dipendenti. Infine, solo il 26,5% delle imprese utilizza il commercio elettronico come canale addizionale di vendita e acquisto.

È quanto emerge da un’indagine condotta dalla CNA su un campione di 3.056 imprese di cui l’85,3% del totale ha meno di 10 addetti. Oltre la metà delle aziende interpellate (52,9%) appartiene all’industria in senso stretto (25,7% manifattura e 27,2% edilizia – costruzioni e impiantistica), il 4,1% opera nel settore dei trasporti mentre il restante 43% nei settori dei servizi (30,6% servizi per la persona e 12,4% servizi per le imprese).
Dall’indagine, in sostanza, si evince che le piccole imprese, soprattutto quelle micro, devono ancora scoprire la cultura del web. Le ragioni dipendono più dai costi finanziari o dai costi opportunità, come quelli di dedicare personale alla gestione del sito, che dalla percezione dell’utilità derivante dallo strumento che invece rimane alta.

Non solo: la difficoltà delle piccole imprese a digitalizzarsi, a causa di vincoli di natura finanziaria, viene confermata quando si considerano le spese per corsi di aggiornamento/formazione a favore dei dipendenti e l’impiego di consulenti esterni specializzati in Ict. Infatti, solo il 16% delle aziende con meno di 10 addetti ha svolto formazione in materia di tecnologie Ict a favore dei dipendenti nell’ultimo anno, contro il 41% di quelle con più di 20 addetti, e solo il 35,4% si avvale di consulenti esterni esperti in materia.

Il commercio elettronico è un altro elemento trattato dall’indagine. Preso atto che il 26,5% delle imprese del campione sono attive in questo segmento di mercato con differenze poco significative nelle varie classi dimensionali, la forbice invece si allarga quando si prendono in considerazione le aziende che operano come acquirenti o come venditori. Qui l’elemento strutturale fa la differenza. Mentre per gli acquisti, di nuovo, la dimensione aziendale è ininfluente: le imprese che comprano on-line sono circa il 25% in tutte le classi dimensionali. Nel caso delle vendite, invece, solo il 12% circa delle micro-imprese ha colto l’opportunità di operare on-line contro il 21% circa delle imprese con più di 20 addetti.
Un altro elemento d’analisi è quello cosiddetto della “fabbricazione digitale“. Anche in questo caso una micro-impresa manifatturiera (il 26,2%) su quatto ha utilizzato strumenti digitali. Si tratta di una quota significativa ma ancora lontana rispetto al 44,4% delle imprese con più di 20 addetti. Nelle micro-imprese il dato è più basso e scende sotto il 15%. Tra gli strumenti, certamente quelli di prototipazione, di più facile utilizzo, risultano i più scelti, ma si distanziano davvero di poco dalle stampanti 3D, le fresatrici e le tagliatrici laser. Un dato confortante è quello che riguarda i luoghi di contaminazione e co-produzione, infatti un’impresa su 5 risulta aver frequentato un fablab o un makerspace come luogo di confronto, approfondimento, progettazione e prototipazione.

Nello stesso tempo, l’indagine fa notare che se le piccole e micro imprese continuano ad essere poco digitalizzate, qualche responsabilità ce l’ha anche la Pubblica Amministrazione (PA), il cui livello di informatizzazione è considerato del tutto inadeguato rispetto alle necessità delle imprese, come testimonia il 53% del campione con meno di 10 dipendenti. L’inadeguatezza del livello di informatizzazione della PA si evince anche considerando il numero di pratiche burocratiche effettuate on-line. In media, solo una micro-impresa su tre (il 28,3%) riesce a sbrigare più della metà delle pratiche per via telematica.

Di fronte ad uno scenario di questo tipo, CNA chiede al governo di “costruire e realizzare un Piano straordinario per la digitalizzazione della micro e piccola impresa italiana”. “È l’unica soluzione – sottolinea Sergio Silvestrini, segretario generale della Confederazione – per incrementare i livelli di produttività e meglio posizionarci nei confronti dei competitor stranieri”. “Tale piano – aggiunge – deve avere un tempo di realizzazione brevissimo per accelerare il più possibile il processo di digitalizzazione e colmare quanto prima il gap digitale delle imprese italiane”.

Dalle parole ai fatti, ecco le proposte che la CNA mette sul tavolo con decorrenza due anni: “Il governo si deve impegnare per consentire alle micro-piccole imprese di avere un sito web, di essere attive nel commercio estero e di utilizzare, almeno un volta, strumenti di fabbricazione digitale – conclude Silvestrini -. L’obiettivo è di passare rispettivamente dal 65% al 100%, dal 27% al 50% e dal 26% al 50%. Infine, sarebbe importante che le micro-piccole imprese svolgessero almeno la metà degli adempimenti burocratici via web, passando nel giro di due anni dal 24% al 50%”.