Un miliardo per il solo 2015. È questa la stima calcolata dalla CNA delle tasse che le imprese pagano su rifiuti già avviati allo smaltimento, a causa di una diffusa applicazione illegittima della Tari, il tributo destinato a coprire le spese sostenute dalle amministrazioni municipali per il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti. Un tributo trasformato in un bancomat per i Comuni che il sistema produttivo è costretto ad alimentare.
Il prelievo non è di oggi. Dalla Tarsu alla Tia, dalla Tares adesso alla Tari la storia non cambia. Molti Comuni continuano a chiedere soldi anche sui rifiuti speciali che le imprese smaltiscono tramite i circuiti di raccolta privata, in maniera ecologicamente corretta e coerente con i principi comunitari.
Negli anni non sono mancati gli interventi, ma dalle maglie troppo larghe, che hanno permesso ai Comuni di continuare ad agire arbitrariamente. La stessa Legge di Stabilità 2014, che ha istituito la Tari, è contraddittoria. Da un lato, esclude correttamente dal tributo i rifiuti che il produttore dimostri di avere avviato al recupero. Dall’altro, prevede che i Comuni possano ridurre la tariffa in proporzione alla quantità di rifiuti che i produttori hanno avviato al recupero. Ri-affermando, così, l’esistenza del doppio tributo. Neanche il successivo intervento del ministero dell’Economia è servito a risolvere il problema.
A questo punto la CNA chiede un nuovo intervento normativo per impedire, espressamente, ai Comuni di applicare il tributo ai rifiuti smaltiti dal produttore e per obbligare gli enti locali a tenere conto della Direttiva quadro europea, che pone il riutilizzo, riciclo e recupero come prioritario nella gerarchia dello smaltimento dei rifiuti e prevede il conferimento in discarica solo come ultima ipotesi.