A un passo dal podio delle città a maggior tasso di occupazione, grazie in particolare al ruolo svolto dalle imprese artigiane. La speciale classifica – stilata dall’Ufficio Studi di CNA – delle città con il più elevato tasso di occupazione vede Modena al quarto posto in Italia, appaiata a Belluno, e seconda solo a Bologna a livello regionale.

A sostenere le dinamiche occupazionali provinciali, ancora una volta, il settore manifatturiero, dove l’occupazione, nel periodo 2008-20016 regge meglio che in altri territori, ad esempio le confinanti Reggio Emilia e Bologna. Al contrario, nell’ambito dei servizi la crescita degli occupati sul nostro territorio è minore rispetto a quella di altre aree emiliano romagnole.

Ma la correlazione più interessante è senz’altro quella che emerge tra occupazione e numerosità delle imprese artigiane: laddove queste sono più numerose, il livello di occupazione è maggiore.

Infatti, eccezion fatta per Milano, nella classifica delle prime dieci città a maggior tasso di occupazione, solo il capoluogo meneghino vanta una percentuale di imprese artigiane al di sotto della media nazionale.

“È la prova – sottolinea Umberto Venturi, presidente della CNA di Modena – del contributo che le piccole imprese danno all’occupazione, quella reale, quella solida. Imprese che, però, spesso non hanno la dignità che meritano. Ad esempio, sul versante degli incentivi, spesso progettati sulla base di soglie minime di investimenti che sono ben al di sotto delle possibilità delle pmi.”.

Invece queste imprese – a Modena più di un’azienda su quattro ha lo status di azienda artigiana – avrebbero bisogno di aiuti, visto che dal 2009 a fine 2015 l’Albo delle imprese artigiane ha conosciuto un calo di 2.783 unità, quasi 400 all’anno.

“In molti casi si tratta di imprese che cessano per un problema di trasmissione aziendale. Sotto questo profilo CNA ha più volte richiesto l’approvazione di misure fiscali, peraltro già individuate, che possono agevolare il passaggio di imprese e di competenze che altrimenti rischierebbero di andare irrimediabilmente perdute. Ma servono anche aiuti più immediati e concreti. Oggi sentiamo parlare spesso di start up innovative, di spin off universitari. Crediamo necessario concentrarsi anche su imprese più tradizionali, che magari fanno innovazione approssimativamente, in modo poco istituzionalizzato, ma che di certo contribuiscono ancora oggi in modo determinante al benessere del nostro territorio. Pochi anni fa queste politiche di sostegno si basavano su insediamenti agevolati – i cosiddetti Pip – di credito. Oggi, invece, l’aiuto può essere declinato in infrastrutture informatiche, sicurezza. Insomma, se parliamo solo di Industria 4.0, per quanto questa sia importante per il futuro del Paese, rischiamo di lasciare per strada pezzi importanti della nostra economia”.