La Corte di Cassazione, esaminando un verbale Inail, ha stabilito che, in caso di assenza non retribuita, la retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che sarebbe dovuta al lavoratore in applicazione del contratto collettivo stipulato dalle associazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale.

Le assenze dal lavoro non contrattualmente giustificate non esonerano il datore di lavoro dal pagamento dei premi assicurativi e dai contributi previdenziali. Una sospensione consensuale della prestazione che derivi da una libera scelta del datore di lavoro e costituisca il risultato dell’accordo tra le parti non può determinare l’esenzione contributiva.

La fattispecie è riferita ad un verbale di accertamento dell’Inail nel quale l’Istituto aveva contestato ad un datore di lavoro l’omesso versamento dei premi rapportati alle retribuzioni relative a periodi di assenza dal lavoro dei dipendenti dovute a cause diverse da ferie, malattia ed altre ipotesi previste dalla legge o dal contratto collettivo di sospensione dell’attività lavorativa.

La Cassazione, nel rammentare alla sua sentenza riguardante un’impresa del settore edile, dove è previsto l’obbligo di commisurare la contribuzione ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario di lavoro normale stabilito dai ccnl, precisa che il fatto che per altri settori merceologici non ci sia analoga previsione normativa non significa che sussiste una libertà delle parti di modulare l’orario di lavoro rimodulando così anche l’obbligazione contributiva, considerato che questa ultima è svincolata dalla retribuzione effettivamente corrisposta.

Secondo la Cassazione, pertanto, la contribuzione è dovuta nei casi di assenza del lavoratore o di sospensione concordata dell’attività lavorativa che costituisca il risultato di un accordo tra le parti derivante da una libera scelta del datore di lavoro e non da ipotesi previste dalla legge o dal ccnl.

Già dal 2011 CNA aveva segnalato che, in caso di assenza del lavoratore, non retribuita e non giustificata dal contratto collettivo o da previsioni di legge, venivano contestate dagli Enti preposti alla vigilanza, violazioni per mancata applicazione dei contributi, in base all’art. 1 comma 1 legge 389/89, norma che stabilisce che la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.

Negli anni successivi al 2011 gli accertamenti a sfavore delle imprese sono proseguiti, anche se non in maniera esponenziale. In alcuni casi è stato instaurato un contenzioso che aveva prodotto esito favorevole per le imprese.

Ora, alla luce della sentenza di cui sopra, è ipotizzabile, da parte degli istituti, un ulteriore aumento di contestazioni ed una maggior difficoltà ad affrontare un contenzioso che possa produrre esito favorevole per l’impresa.

Si sottolinea, quindi, che l’utilizzo ad esempio, di permessi non retribuiti, in assenza di previsione legale o di contratto collettivo, può essere oggetto di recupero di contributi da parte degli enti preposti.

Nel caso di richiesta di godere di permessi non retribuiti, magari per periodi lunghi, da parte dei lavoratori, è sempre bene conservare una richiesta scritta del lavoratore ( fatta all’atto dell’assenza e non a posteriori) e documentazione probatoria in relazione all’assenza ( ad esempio in caso di rientro del lavoratore straniero al proprio paese di origine, in occasione di periodi estivi o festivi, può essere utile farsi portare copia del passaporto recante i timbri di uscita e rientro dall’Italia)

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