La voluntary disclosure (o collaborazione volontaria) è una procedura che consente di regolarizzare i beni e capitali detenuti all’estero e gli adempimenti ad essi collegati. Rientrano in questa tipologia non solo i fondi presso istituti di credito (conti correnti o strumenti finanziari che siano), ma anche terreni, fabbricati, gioielli, opere d’arte o di antiquariato, ossia qualunque bene possa rappresentare un investimento, all’estero, di capitali.

Quindi con questo adempimento chi ha beni al di fuori dell’Italia e non ha effettuato in tutto o in parte le dichiarazioni fiscali ad essi collegati, ha la possibilità di sanare la propria posizione con l’Amministrazione finanziaria.

Questa procedura dovrebbe rappresentare un’opportunità per i contribuenti, ai quali vengono forniti incentivi economici in termini di semplicità di adempimenti ed una forte riduzione delle sanzioni, oltre che l’esclusione da eventuali reati penali. Ma si tratta anche di un procedimento volto a ridurre il più possibile il contenzioso futuro in materia di beni e capitali all’estero, dato che gli accordi internazionali consentiranno sempre di più al fisco italiano di richiedere (e ottenere!) agli stati esteri informazioni economiche sui propri cittadini.
Il termine per l’adesione è il 30 settembre 2015, ma è assolutamente necessario, per chi intenda usufruirne, iniziare subito a raccogliere la documentazione.
Ci sono sostanziali differenze tra la “voluntary disclosure” e i precedenti provvedimenti di “sanatoria” finalizzati al rientro dei capitali detenuti all’estero. Innanzitutto non è più possibile aderire in forma anonima, inoltre il nuovo approccio non è più forfettario (salvo deroghe particolari per i patrimoni fino a 2 milioni di Euro), bensì analitico.
La collaborazione volontaria consiste, di fatto, nell’indicazione spontanea di tutti gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute all’estero. Sarà quindi necessario pagare le imposte, comprensive di interessi e sanzioni, precedentemente non versate (in un’unica soluzione o al limite in tre rate). La norma consente quindi a chi ha capitali all’estero di sanare la propria posizione (anche per alcuni aspetti penale) pagando tutte le imposte dovute e le sanzioni in misura ridotta.
A differenza dai precedenti scudi fiscali, la regolarizzazione dovrà essere totale e non parziale e potrà avvenire solo tramite professionisti, sebbene il calcolo finale dell’operazione avverrà a cura dell’Agenzia delle Entrate, che sarà destinataria di tutta la documentazione.
Per le attività finanziarie inferiori ai 2 milioni di euro per esercizio fiscale (i cd. conti pocket) è possibile determinare il valore delle imposte dovute secondo un criterio forfettario, in alternativa al calcolo analitico: viene dunque calcolato un rendimento finanziario nella misura del 5% del valore complessivo del patrimonio alla fine dell’anno, sul quale si applica l’aliquota fissa del 27%.

Le sanzioni “base” sono le seguenti:
– attività in Paesi black list, ossia i cosiddetti paradisi fiscali: 5% dal 2004 al 2007; 6% dal 2008 al 2013;
– attività in Paesi non black list: 3% per tutti gli anni a partire però solo dal 2009.
Aderendo all’atto di contestazione entro i termini del ricorso (60 giorni), le sanzioni già dimezzate (o ridotte del 25%) sono ulteriormente ridotte a un terzo.

Un caso particolare sono poi i paesi già in black list, che però hanno aderito ad una convenzione con l’Italia entro il 2 marzo 2015. Questi paesi vengono considerati a tutti gli effetti come non black list ai fini della voluntary e, pertanto, per chi ha beni e capitali in questi paesi, sarà possibile usufruire delle sanzioni ridotte e dei termini più brevi di accertamento. Rientrano, per esempio, tra questi paesi la Svizzera ed il Principato di Monaco.

Per informazioni sull’argomento ed eventuale consulenza e assistenza utile a stimare il costo dell’operazione e i necessari adempimenti è possibile contattare la Dott.ssa Francesca Toffanetti di CNA Consulenza mail ftoffanetti@mo.cna.it, tel. 059 418.149