Dopo anni di gestazione – una quindicina – il nuovo Codice della crisi, approvato all’inizio di quest’anno, diventerà operativo nell’estate del 2020. Si tratta di un meccanismo di allerta basato su indicatori nazionali, diversi a seconda dei settori, a partire dal patrimonio netto negativo. Un sistema che rischia di sostituirsi meccanicamente alla responsabilità dei sindaci e revisori, imponendo una procedura automatica di valutazione del rischio per la gestione della crisi aziendale, svincolata da ogni tipo di analisi individuale. Ciò significherà, per le imprese, affrontare i costi necessari per dotarsi di sistemi di gestione e controllo del rischio e sottostare ad ulteriori obblighi organizzativi finalizzati a rilevare tempestivamente i segnali di crisi.
Stiamo parlando di costi di rilevanti, nell’ordine di migliaia di euro. “In alcuni casi anche più di diecimila”, sottolinea Fabio Casalin, Area manager di CNA Consulenza, la divisione dell’Associazione che sta seguendo l’entrata in vigore di questo adempimento.
Ma quali sono queste imprese? “Le società di capitali che per due anni consecutivi abbiano registrato uno di questi tre parametri: 1) un fatturato superiore ai 4 milioni di euro; 2) un attivo patrimoniale inferiore ai 4 milioni di euro; 3) più di 20 dipendenti. Considerato che nel nostro territorio le società di capitali sono poco meno di 18.000, stimiamo che siano almeno 3.000 quelle che rientrano nella casistica”.
CNA non ha mancato di manifestare critiche nei confronti di questo adempimento. “Innanzitutto, per la tempistica con cui viene adottato: “In un momento di congiuntura negativa come quella attuale, imporre costi di questa portata, specie alle PMI che già non sono attrezzate in tal senso, non migliora la produttività, e anzi rischia di peggiorarne la situazione reddituale ed economica. In altre parole, il rischio è quello di contribuire a innescare quella malattia che la medicina preventiva vorrebbe evitare”.
“Poi – continua Casalin – perché, se i costi sono certi, non si può dire altrettanto per i benefici, che dipenderanno da come i professionisti interpreteranno, in maniera più o meno formalistica, il loro ruolo rispetto ai risultati di un sistema presuntivo automatico. Difatti, i revisori potranno discostarsi dai risultati predittivi, ma dovranno darne motivazione assumendosene la responsabilità. E c’è il rischio che decidano di lavarsene le mani, accettandoli passivamente”.
“In tutti i casi, non è che un’impresa sull’orlo del fallimento stia meglio, se si sentirà dire che è solo in procinto di una liquidazione giudiziale. Non è che il cambio della terminologia utilizzata cambi la natura delle cose. Piuttosto, serve che questa novità sia accompagnata dall’adozione di modelli di gestioni che non si limitino ad evidenziare il problema, ma che individuino in partenza gli eventuali correttivi. Ed è quello che cercheremo di fare in CNA: non solo limitare al massimo il costo (ben meno di quelli di mercato) del nuovo adempimento, ma trasformalo in un’opportunità, in un investimento per migliorare la gestione aziendale”.