In occasione dell’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, CNA vuole rendere omaggio alle donne imprenditrici. In una data storicamente dedicata alle conquiste economiche, sociali e politiche del gentil sesso, occorre sottolineare il ruolo di tutto rilievo che le donne hanno guadagnato negli anni con tenacia, sacrifici e caparbietà in un mondo, quello dell’impresa, un tempo ad esclusivo appannaggio degli uomini. Ciò non significa che il gender gap sia stato colmato: molta è la strada da percorrere perché le differenze di genere possano dirsi superate.

Tra i principali ostacoli che le donne affrontano quotidianamente nel fare impresa vi sono la difficoltà di conciliare gli impegni familiari con la vita professionale e il persistere di opportunità di guadagno economico non soddisfacenti, sia se considerate in termini assoluti sia rispetto a quelle maschili. È tuttavia significativo che, pur operando in condizioni talora meno favorevoli di quelle degli uomini, le imprenditrici si siano ricavate uno spazio sempre più ragguardevole nel sistema produttivo del Paese e forniscano un apporto considerevole alla crescita dell’economia italiana.

Superare le disparità di genere in maniera strutturale è di vitale importanza affinché le donne possano esprimere il loro massimo potenziale, affermando pienamente il loro ruolo di “risorsa primaria” e non ancillare per lo sviluppo del Paese.

L’imprenditoria femminile in Italia. I principali numeri

L’imprenditoria femminile è una realtà di grande valore per l’economia nazionale. Vanta infatti numeri importanti, mostra un andamento decisamente dinamico ed ha sostenuto il tessuto produttivo italiano in anni difficili.

Una prima idea della rilevanza dell’imprenditoria femminile in Italia ci viene fornita dai dati di Unioncamere, da cui emerge che i ruoli imprenditoriali (si intendono le qualifiche di titolare, amministratore e socio di impresa, nonché di detentore di altre cariche diverse da quelle citate) ricoperti dalle donne nel 2021 sono 2,8 milioni, ossia più di un quarto del totale (26,8%). Nel 69,7% dei casi, peraltro, le donne non svolgono una funzione ausiliare ma sono responsabili in prima persona dello sviluppo del progetto imprenditoriale in qualità di titolari (29,2%) e di amministratrici (40,5%).

Se si considera il numero delle imprese registrate presso le Camere di Commercio nel 2021, che è pari a circa 6 milioni, si può inoltre affermare che le donne operano mediamente in un’impresa su due e che, le stesse, rivestono ruoli apicali (titolare o amministratore) quasi in un’impresa su tre.

Spostando il focus dell’analisi sui settori produttivi, l’elemento che spicca con maggiore evidenza è che le donne operano principalmente nei servizi. E nello specifico, gli ambiti di attività nei quali i tassi di imprenditorialità femminile (espressi come numero di donne sul totale) risultano più elevati sono i servizi per la persona (52%), aggregato che comprende le tinto-lavanderie, i parrucchieri e i centri estetici, il turismo (35,9%), a cui seguono l’agricoltura (29,3%) e il commercio (27,2%). Meno diffusa è la presenza delle donne nel comparto manifatturiero (16,9%), nel quale operano in netta prevalenza imprenditori di sesso maschile (grafico 1).

In alcuni comparti della Manifattura, tuttavia, il ruolo giocato dalle donne è tutt’altro che residuale (grafico 2). La presenza femminile è infatti di tutto rilievo nel settore dell’abbigliamento, dove il 44,7% dei ruoli imprenditoriali è ricoperto da donne. In generale, l’intera filiera dell’abbigliamento è tinta di rosa, con una presenza femminile importante nel tessile (32,6%) e nella pelletteria (30%). Una quota significativa di ruoli imprenditoriali è detenuta dalle donne anche in altri comparti, fra cui si segnalano l’alimentare (29,2%) e la produzione di gioielli e accessori (23,6%).

Si tratta di settori tipici del Made in Italy, ovvero delle produzioni di eccellenza che rendono il nostro Paese forte e riconoscibile in tutto il mondo e che non sarebbero tali senza il prezioso contributo creativo apportato dalle donne imprenditrici.

A livello territoriale, i tassi di imprenditorialità femminile più alti si registrano nel Centro e nel Nord-Ovest del Paese (grafico 3). Il peso relativo delle quote di donne che fanno impresa oscilla da un valore minimo del Trentino Alto Adige (23,6%) ad un massimo della Valle D’Aosta (30,5%).

L’imprenditoria femminile negli ultimi dieci anni

Le donne hanno offerto un contributo fondamentale alla tenuta dell’economia del Paese nell’ultimo decennio. Sono stati anni non facili, in cui l’Italia ha attraversato pesanti crisi internazionali: quella dei debiti sovrani prima (2012) e, più recentemente, la pandemia da Covid-19 (2020). Ciò non di meno, dal 2014 al 2021, i ruoli femminili nell’ imprenditoria sono cresciuti di circa 63 mila unità (grafico 4). Non è un dato di poco conto, specie se messo a paragone con l’evoluzione delle cariche imprenditoriali maschili che, nello stesso periodo, si sono ridotte di oltre 31 mila unità.

Confrontando gli andamenti dell’imprenditoria femminile e di quella maschile nell’ultimo decennio (grafico 5) risulta che, a fronte della tenuta e del lieve aumento dei ruoli femminili dal 2011 al 2021 (+1,6%), i ruoli maschili hanno avuto uno sviluppo opposto e sono calati in misura più marcata (- 3%). I trend analizzati evidenziano l’importanza delle donne per la tenuta del tessuto produttivo italiano.

Negli ultimi anni, in cui il nostro Paese ha registrato prima una fase di grave crisi economica legata alla pandemia da Covid-19 (2020) e poi una fase di altrettanto repentina e robusta ripresa (2021), si osserva una tenuta complessiva del tessuto produttivo. Nel 2021, però, le imprese femminili hanno agganciato la crescita, mettendo a segno un aumento di 11.500 unità dei ruoli rispetto al 2020. La buona performance della imprenditoria al femminile va ancor più rimarcata poiché, negli stessi anni, quella maschile è invece rimasta al palo.

Non solo impresa. La presenza femminile nel mercato del lavoro

L’analisi sin qui effettuata, che contiene elementi sicuramente positivi, si è soffermata sulle donne imprenditrici. Ampliando il campo dell’analisi all’intero mercato del lavoro, emerge un quadro di insieme che appare purtroppo meno roseo.

Nel 2020 il tasso di occupazione femminile italiano (percentuale delle donne occupate rispetto alla popolazione femminile in età lavorativa) si attestava al 52,1%, quasi venti punti meno rispetto a quello maschile (71,8%). Oltre a risultare il secondo più basso dell’Unione Europea (solo in Grecia la percentuale di donne che lavorano è più bassa che in Italia), il tasso di occupazione femminile si è ridotto in maniera più marcata di quello maschile rispetto al 2019 (rispettivamente -2,0 punti percentuali contro -1,5 punti percentuali) evidenziare quanto la pandemia esplosa in quell’anno sia stata penalizzante soprattutto per le donne, sia a causa della specializzazione produttiva, che le vede più presenti nei settori più colpiti dalla crisi (moda, settore turistico, servizi per la persona, organizzazione di eventi), sia perché “costrette” a dovere provvedere all’assistenza di figli e anziani durante i mesi del lockdown.

Oltre ad avere meno opportunità lavorative, le donne in Italia continuano a percepire retribuzioni più basse di quelle maschili a parità di lavoro e mansioni. Basti dire che, nella media delle imprese del settore privato, la retribuzione oraria dei dipendenti di sesso maschile supera quella femminile di 7,2 punti percentuali.

Occorre però sottolineare come gli squilibri retributivi che penalizzano le donne diminuiscono in modo considerevole con il ridursi della dimensione di impresa (grafico 6). Se infatti la retribuzione oraria maschile supera quella femminile di 17,1 punti percentuali nelle grandi imprese, nelle micro imprese il differenziale retributivo tra uomini e donne si assottiglia notevolmente e non tocca i 2 punti percentuali (+1,8% a favore degli uomini).

Considerazioni analoghe possono essere effettuate a proposito della presenza delle lavoratrici dipendenti nelle imprese suddivise secondo la dimensione (grafico 7). Complessivamente, le lavoratrici rappresentano il 40,5% dell’occupazione totale delle imprese nel settore privato. Questa quota risulta però molto più elevata nelle microimprese (0-9 addetti) nelle quali essa supera i 47 punti percentuali.

I dati appena citati, riguardanti i divari salariali e l’impegno lavorativo delle donne nel sistema produttivo, evidenziano quanto nelle imprese più piccole l’aspetto relazionale tra lavoratori e datori di lavoro risulti fondamentale e come la conoscenza diretta tra loro, facilitata proprio dalla piccola dimensione aziendale, consenta una valutazione dei dipendenti legata al merito, alla efficienza e non influenzata da pregiudizi di alcun tipo.

Conclusioni

Resilienti, combattenti, creative, tenaci, innovative, consapevoli di essere una risorsa per il Paese. Dopo tante parole oggi le donne imprenditrici sono in attesa di azioni concrete.

Mai come ora è determinante rilanciare e valorizzare l’occupazione femminile, sia attraverso il lavoro autonomo che attraverso quello subordinato. L’Europa, con un piano di grandi riforme e di investimenti strutturali indispensabili per la ripresa, ha chiesto al nostro Paese un impegno chiaro che possa condurre al superamento dei tanti gap riguardanti il lavoro femminile. La risposta del policy maker italiano è stata pronta: parte degli obiettivi del PNRR vanno proprio in questa direzione.

Il lavoro delle donne, se sostenuto e riconosciuto finalmente strategico, contribuisce alla crescita dell’economia e alla creazione di una società più giusta.

Per le donne imprenditrici della CNA la via maestra verso la parità di genere passa per la promozione della cultura del lavoro e dell’autoimprenditorialità. Il primo passo per conseguire effettive pari opportunità, combattere la violenza sulle donne e innalzare la qualità della loro vita è infatti il raggiungimento dell’indipendenza economica e una sempre maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro.