La crisi, ma anche il processo di concentrazione, unito alla terziarizzazione, che sta coinvolgendo anche l’economia del nostro territorio. Poi le calamità naturali che hanno ripetutamente colpito la provincia. Le cause, insomma, sono numerose, ma l’effetto è uno solo: la progressiva diminuzione delle imprese artigianali. “Aziende – osserva Umberto Venturi, Presidente di CNA Modena – che, anche in un passato molto recente, hanno rappresentato una scuola formativa importante, dove i lavoratori si preparano a diventare gli imprenditori di domani. E che rappresentano tutt’oggi una componente importante del benessere che ha contraddistinto il nostro territorio”.
I numeri sono impietosi: in soli sette anni, dal 2009 al 2015, le imprese attive iscritte all’Albo Artigiani di Modena sono passate da 24.139 unità a 21.356. Un calo di oltre 2.780 imprese, pari all’11,5%, quasi 400 all’annoUna diminuzione ben superiore a quella registrata dalle imprese complessivamente in attività, scese anch’esse, ma solo del 3,7%.

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“In altre parole – continua Venturi – il calo delle imprese registrato negli ultimi sette anni si è concentrato nell’artigianato”.
L’ufficio Studi di CNA ha cercato anche di evidenziare i settori nei quali si è concentrato questo calo, malgrado l’avvenuto cambiamento dei codici di attività delle imprese, una modifica che rende più difficile le aggregazioni tra i vari mestieri.

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I numeri fotografano bene la situazione che, in alcuni comparti, può essere definita senza mezzi termini drammatica. Il comparto manifatturiero è diminuito di un quarto, a causa soprattutto della flessione (che sfiora il 54%) nel settore agroalimentare. Nell’ambito del legno – il classico falegname, per intenderci – se ne è andata un’azienda su cinque, il settore delle costruzioni ha perso quasi 1.300 aziende. La meccanica, la ruota motrice dell’economia modenese, si ferma, per così dire, a -12%.
Le uniche note positive arrivano dai comparti legati ai servizi, sia quelli inerenti alla riparazione delle cose (in particolare per ciò che riguarda i veicoli: – 4,2%), e, soprattutto, alla persona (-1,6%).
Ovviamente diminuisce anche il peso delle imprese artigiane sul totale di quelle in attività: dal 35% del 2008, infatti, si passa all’attuale 32,2%.

“Dietro a queste cifre ci sono numerose cause – sottolinea Umberto Venturi – Rispetto ad alcune di queste i margini di manovra sono limitati: i processi di aggregazione aziendali e la terziarizzazione che caratterizza le economie occidentali, sono tendenze ormai inarrestabili. Ma per altri aspetti è possibile intervenire a livello locale. Innanzitutto occorre avere la consapevolezza che la perdita di imprese artigiane si traduce in un depauperamento generale della nostra comunità, sia in termini di ricchezza, di benessere, che di professionalità. Possiamo tranquillamente calcolare che quasi 2.800 aziende di questo tipo valgano una perdita di almeno 7.000 addetti, tra dipendenti e titolari. Per intenderci, poco meno di tre Ferrari spa. Ma c’è tutto un mondo di professionalità che rischia di essere perduto per sempre. Pensiamo ai restauratori di auto d’epoca, a chi lavora la pelle o il legno”.

Secondo CNA, sulla base di questa consapevolezza, possono essere trovate delle vie di azione, anche a livello territoriale. “Penso, ad esempio, all’Area Nord e alle conseguenze del terremoto del 2012. Se non verrà rinviata la data dell’inizio del rimborso imposte, attualmente fissata al 30 giugno 2016, stimiamo che possano essere almeno trecento le imprese che non ce la faranno. E la maggioranza di queste sono piccole aziende e realtà artigianali, difficoltà che si ripercuoteranno a catena su altre aziende”.

Non si possono poi dimenticare i danni provocati dai concordati, che incidono pesantemente sulle aziende artigianali: sono numerosi i casi di imprese che hanno dovuto affrontare crisi di liquidità a volte fatali per fronteggiare fallimenti pilotati talvolta utilizzati in modo spudorato.

Altra strada per agevolare la sopravvivenza delle imprese artigiane e preservarne le professionalità è la facilitazione del passaggio d’impresa. Oggi, infatti, se un’azienda viene ceduta ai figli o al coniuge, la successione è equiparata alla donazione: se l’attività prosegue per almeno cinque anni, il costo dell’operazione è di 500 euro in tutto. Ma se l’impresa viene donata ai familiari più stretti, o ceduta ai dipendenti, i costi lievitano a livelli assurdi. Nel caso della donazione ai familiari, si superano i 50.000 euro per chi cede l’azienda, mentre in caso di cessione, chi rileva l’impresa, oltre al corrispettivo pattuito, dovrà pagare il 9% di imposte sul valore degli immobili e il 3% su quello delle altre attività (pagando, anche in questo caso, cifre abbondantemente superiori ai 50.000 euro). Per questo, la strada indicata da CNA per favorire il passaggio d’impresa è l’omologazione di quest’ultima al conferimento d’azienda, dove il cedente non paga alcuna imposta mentre chi subentra paga imposte fisse e sostitutive di 22.200 euro complessive.

Per ultimi, ma non ultimi, i temi fiscali, ormai un mantra (spesso inascoltato) per le pmi. “Oggi c’è una disparità di trattamento da questo punto di vista: alle grandi imprese sono consentite azioni – come il trasferimento fiscale all’estero – che non sono nelle disponibilità dei piccoli, e ciò rappresenta una penalizzazione. Senza contare che alcune imposte – su tutte l’Imu – si accaniscono in particolare sulle aziende artigiane manifatturiere e su quelle che, per la propria attività, hanno bisogno di capannoni più grandi. Anche questo rappresenta una distorsione. Senza dimenticare il peso complessivo della tassazione, oggi superiore al 60%, che toglie risorse agli investimenti e allo sviluppo”.

Infine, attenzione a non privilegiare le start up innovative a scapito delle nuove imprese più tradizionali, come invece sembra accadere oggi. “Siamo consapevoli – chiosa Venturi – dell’importanza delle prime, ma anche attività tecnologicamente meno qualificate hanno una loro dignità e funzione economica, peraltro senza poter contare di tutte le agevolazioni fiscali che caratterizzano, invece, le neo imprese innovative”.