A Modena un’azienda su tre rientra nell’artigianato, un settore che spesso sfugge alle analisi macroeconomiche, ma che, almeno sul nostro territorio, ha dato e offre tutt’ora un grande contributo al benessere diffuso della comunità.
Se questo benessere, malgrado gli spiragli di ripresa, è oggi caratterizzato da una grande precarietà, probabilmente è anche a causa della crisi che sta coinvolgendo gran parte delle attività artigianali modenesi.
L’Ufficio Studi di CNA a questo proposito ha analizzato l’andamento dell’Albo Artigiani della Camera di Commercio di Modena, una ricerca quantitativa e qualitativa che ha permesso di definire la portata delle tendenze economiche che coinvolgono le piccole aziende.
La crisi non è passata
Dal 31 dicembre 2006 ad oggi l’albo delle imprese artigiane è passato da 24.471 imprese a 20.868 imprese attive al 31 marzo 2017. Sono 3.603 aziende in meno (praticamente 360 imprese all’anno, tra quelle che chiudono e quelle che – una minoranza – perdono la denominazione di artigiani), il 14,7%. Ma non tutti i settori presentano la stessa dinamica.
Casa: un conto è costruire, un altro gestire
Tanti i meno e rari i più nella classifica della movimentazione dell’albo artigiani negli ultimi dieci anni. Il settore che denuncia la perdita numerica più consistente è quello delle costruzioni: le aziende artigianali che si muovono nella filiera dell’edilizia (muratori, impiantisti, eccetera) erano 9.293 nel 2007, oggi sono 7.894, cioè 2.239 (il 15,1%) in meno.
La perdita più eclatante, però, è quella che si manifesta nel settore trasporti, che nel 2017 si attesta a quota 1.539, 810 imprese in meno (-34,5%) rispetto ad inizio rilevazione.
Male anche la meccanica, che da sola rappresenta il 40% del manifatturiero: in questo caso il calo è stato del 25,3% (444 imprese). Non di poco conto pure la caduta del settore tessile, passato da 2.007 imprese a 1.482 (-28,6%).
Se il settore delle costruzioni è in calo, è in forte crescita (46,4%) quello dell’attività di servizio per gli edifici: si tratta di imprese di giardinaggio e pulizia, ad esempio, che si attestano a quota 596. Il segno dei tempi è testimoniato anche dalla crescita (36,8%) delle imprese artigianali che producono software o che comunque sviluppano la propria attività nell’ambito informatico.
Più o meno stabili, invece, alcuni settori particolarmente forti in ambito artigianale: è il caso dei servizi alla persona (parrucchieri, estetiste; 1.869 imprese, -1,84% in dieci anni), dell’autoriparazione (1.007 imprese, -8,1%), le attività alimentari e di ristorazione (1.146 imprese, +4%).
La situazione comune per comune
La dinamica delle imprese artigiane è abbastanza differenziata: sono 28 i comuni che presentano un andamento peggiore della media provinciale (che, lo ricordiamo, registra una flessione decennale del 14,7%) e 19, invece, quelli “virtuosi”, dove il calo è inferiore alla media. Le diminuzioni più eclatanti sono a Montecreto (-36,2%), Polinago (-28,4%) e Concordia (-22,8%). Il comune dove, invece, l’artigianato ha retto meglio è stato quello di Spilamberto (-7%), seguito da Pavullo (-8,3%) e Vignola (-8,4%). Modena città nel decennio ha perso 663 imprese (-12,8%), Carpi 352 (-13,6%), Sassuolo 300 (-19,5%), Mirandola 116 (-13,5%), Castelfranco Emilia 127 (-12,1%).
Il commento
I numeri palesano le difficoltà in cui versa l’artigianato, che tanto oggi quanto in passato rappresenta la principale forma di imprenditorialità e, come si diceva in precedenza, garantisce da anni il benessere diffuso del territorio. Basti pensare che le oltre 3.600 imprese perse in questi dieci anni valgono almeno 7.000 posti di lavoro (La Ferrari occupa 2.800 persone, per fare un confronto). Ma nel conto va messa anche la scomparsa di tante professionalità: pensiamo ai restauratori di auto d’epoca, per fare un solo esempio.
I fattori che contribuiscono alla crisi sono molteplici: innanzitutto le difficoltà legate all’andamento economico regionale, che colpisce soprattutto il mercato interno, quello di riferimento dell’artigianato. Non è casuale che i settori più in difficoltà siano il trasporto, alle prese con una spietata concorrenza, e le costruzioni, mentre tessile e manifatturiero sembrano pagare un prezzo piuttosto alto alla ristrutturazione che da anni sta interessando questi due settori e che premia la capacità di esportare o quanto meno di operare in una logica di filiera. Al calo dell’albo artigiano hanno sicuramente contribuito anche i cambiamenti di ragione giuridica di diverse imprese, soprattutto in ambito manifatturiero.
Un peso rilevante è comunque anche quello degli ostacoli ai passaggi d’impresa. Oggi, infatti, c’è una forte differenza fiscale tra l’affidare l’impresa a figli o al coniuge, piuttosto che cederla a altri familiari o ai dipendenti dell’impresa (si tratta differenze anche di decine di migliaia di euro). Occorre quindi estendere la normativa vigente per i conferimenti d’azienda anche alle cessioni di aziende artigianali, per consentire alle potenzialità imprenditoriali, ad esempio quelle espresse dai dipendenti, di emergere.
Serve poi tenere alta la guardia rispetto all’abusivismo: grazie alle segnalazioni e al lavoro di verifica di CNA sono state diverse – almeno una decina – le attività di estetica e acconciatura alla quale è stata impedita l’attività per l’assenza dei requisiti professionali previsti.
Inoltre, l’artigianato è un settore che più di altri incontra difficoltà nell’accesso al credito: agevolazioni finanziarie potrebbero essere utili a sostenere il settore. Anche perché questo settore può svolgere un ruolo utile anche in campo ambientale: diversi paesi europei concedono consistenti agevolazioni alle neo imprese che si occupano di riciclo e riparazione di oggetti usati. Questa potrebbe essere un’opzione per sostenere attività artigianali in quest’ambito.