“Abbiamo letto in questi giorni dell’incontro convocato in Prefettura sul riordino territoriale dei comuni sino a 3.000 abitanti. Noi riteniamo che questa sia l’occasione per andare oltre e guardare al futuro, convinti che si possa difendere e tutelare l’identità dei piccoli centri del nostro Appennino e cogliere nel contempo le opportunità economiche relative alla fusione del comuni, senza fermarsi alla gestione associata di alcuni servizi, come prevede la legge”. E’ il commento delle Associazioni di riferimento di Rete Imprese Italia rispetto al tema dell’accorpamento dei comuni in Appennino.
“I vantaggi economici sono innegabili: i 10.000 euro messi a disposizione dalla regione per i progetti di fattibilità delle fusioni, altre tipologie di contributi, poi l’esenzione di due anni dal patto di stabilità (la regola per cui, per contribuire al risanamento dei conti pubblici nazionali, ai comuni viene chiesto di incassare di più di quanto spendono e di tenere i soldi fermi in banca), del comune unico, l’aumento di risorse disponibili (che, sulla base delle esperienze di altre realtà, possono arrivare al 10% annuo in più rispetto alla somma delle disponibilità delle singole amministrazioni. Infine, per legge, il nuovo comune avrebbe la precedenza sui bandi per i finanziamenti erogati dalla regione”.
Ma secondo Rete Imprese Italia le fusioni non dovrebbero essere una risposta soltanto economica. “Si sente dire spesso che le imprese devono aggregarsi per crescere, per competere. Crediamo che la stessa cosa debbano farla i territori. Insomma, a nostro avviso l’istituto del comune unico rappresenterebbe un plusvalore per le nostre comunità.”.
Le esperienze positive non mancano. “A una manciata di chilometri da qui – continua la nota di rete Imprese – cinque amministrazioni bolognesi hanno dato vita al comune di Valsamoggia e pare non essere successo nulla di tremendo:, sono stati efficientati i servizi e sono aumentate le risorse economiche a disposizione delle istituzioni, e ognuna delle cinque realtà coinvolte nella fusione ha mantenuto la stessa identità. Anzi, proprio la maggior ricchezza consentirebbe di valorizzare le peculiarità dei singoli centri. Pensiamo, ma è solo un esempio, a un comune unico che nascesse da alcune piccole amministrazioni: queste ultime potrebbero promuoversi assieme, in misura unitaria, dando una visibilità ai vari membri ben maggiore rispetto a quella ottenibile individualmente. E non vale l’obiezione che ciò potrebbe accadere comunque, semplicemente perché sino a oggi non è avvenuto. Noi pensiamo invece che una fusione tra i comuni potrebbe facilitare questa e altre attività”.
Ma la fusione potrebbe essere una risposta al problematico rapporto tra cittadino e Unione dei Comuni, che tende ad essere limitato a una mera fruizione dei servizi, con ben poca informazione e conoscenza. Del resto, gli stessi comuni che ne fanno parte spesso interpretano l’unione come un’organizzazione funzionale di secondo livello al loro servizio e non come ente sostitutivo del loro ruolo e della loro titolarità.
“Cna, Lapam, Confesercenti e Confcommercio sono disponibili a dare il proprio contributo in una discussione finalizzata anche a quella necessaria attività informativa imprescindibile per il superamento di diffidenze, localismi e campanilismi identitari”.