Il sistema trasportistico italiano è uno dei settori maggiormente colpiti dalla congiuntura economica: dal 2008 al 2017 26.946 imprese di autotrasporto cessate. Per risollevarlo occorrono immediati interventi sui mali endemici che lo affliggono: estrema polverizzazione del settore, elevati costi di gestione e conseguente dumping sociale perpetuato dalle imprese estere, assenza di una incisiva politica europea che promuova condizioni di partenza uguali per tutti, carenza di valori indicativi di riferimento che garantiscano sicurezza stradale ed adeguatezza sociale.
In queste condizioni in Italia “sbarcano” ogni giorno flotte di camion targati Polonia, Romania, Bulgaria, Slovacchia ed altri Paesi dell’Est UE; in questi territori il salario minimo di riferimento è inferiore a euro 500/mese mentre il costo del gasolio per autotrazione è pari a euro 1,09 per la Bulgaria, euro 1,16474 per la Polonia e di euro 1,26 per Romania e Slovacchia. A maggio 2018 il prezzo del gasolio in Italia era pari a euro 1,50: dai 24 ai 40 centesimi in più a litro!!

Soltanto i vettori polacchi, in Europa, hanno incrementato l’attività di cabotaggio del 120% (Lituania =+109% – Repubblica Ceca = +152% – Slovacchia = +116% – dati 2014 – Fonte: ANFIA su dati Eurostat. Per l’autotrasporto italiano con queste differenze non c’è partita!

Se a questo aggiungiamo la citata riduzione delle deduzioni forfetarie, il previsto taglio sul fondo destinato ai pedaggi autostradali (48 milioni di euro in meno nel 2019 e 2020: altro che taglio sulle intermediazioni dei consorzi, come dice qualcuno!) e su quello riservato al rimborso delle accise (fondo decurtato del 15% a partire dal 1° Gennaio 2019: 254.655.000 euro in meno), l’autotrasporto italiano collassa!

Toninelli, Salvini, Di Maio ed il Presidente del Consiglio dei Ministri, facciano la voce grossa con l’Europa non solo per il problema degli sbarchi degli immigrati ma anche per armonizzare le condizioni di lavoro delle imprese europee, almeno in tema di costo del lavoro e costo del carburante!

Per ribadire che la normativa europea che non può prevedere, almeno sino a quando non vi siano uguali condizioni di partenza, ulteriori liberalizzazioni.